Il lavoratore non può eludere l’obbligo di certificazione verde COVID
RG 981/2021
TRIBUNALE DI ALESSANDRIA
Sezione Lavoro
Il tribunale, in persona del giudice unico;
letti gli atti, sciogliendo la riserva di cui all’udienza 4 gennaio 2022;
ha pronunziato la seguente
O R D I N A N Z A
- 1.
XX, operatore di esercizio con mansioni di autista alle dipendenze di YY S.p.A., è stato sospeso dal servizio e dalla retribuzione perché non in possesso della certificazione di cui al d.l. n. 127/21.
Ricorre ai sensi dell’art. 700 cpc, al fine di ottenere la immediata reintegrazione nel proprio posto di lavoro o in altro corrispondente alla qualifica rivestita.
Ritiene sussistenti i presupposti per ottenere tutela di urgenza e, a tal fine, allega:
- quanto al fumus boni iuris, la natura discriminatoria del comportamento datoriale volto ad impedire l’espletamento delle mansioni lavorative, in contrasto con i principi del diritto europeo, della Costituzione e diritto giuslavoristico e, in particolare, con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che all’art. 3 stabilisce che ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica e che, in campo medico e biologico, ogni individuo deve vedere rispettato, nei limiti definiti dalla legge, il consenso libero e informato, con la legge n. 145/01 e con la legge n. 217/19 laddove vietano qualsiasi trattamento sanitario e diagnostico se non fondato sul consenso libero e informato del paziente, con il Regolamento CE 953/2021 nella parte in cui, al “considerando” n. 36 stabilisce la necessità di evitare la discriminazione, diretta o indiretta, di persone non vaccinate, qualunque sia la ragione, volontaria o altro, in base alla quale abbiano scelto di non accedere al vaccino, con la risoluzione n. 2361 del 27.1.2021 del Consiglio d’Europa, nella parte in cui invita gli Stati membri e l’UE ad assicurare l’informazione ai cittadini circa la non obbligatorietà della vaccinazione, circa il fatto che nessuno possa essere sottoposto a pressioni di sorta affinché si vaccini contro la propria volontà e circa la non discriminazione dei soggetti non vaccinati rispetto a quelli vaccinati;
- quanto al periculum in mora, viene evidenziato come “la sospensione di fatto dal lavoro, attuata nei confronti di XX , ha compromesso la sua dignità personale e professionale” e che “con la riammissione in servizio, in considerazione anche del ruolo alimentare della retribuzione, XX potrebbe ricominciare a far fronte alle necessità economiche del nucleo familiare, di cui fanno parte anche due figli minori, alle quali, attualmente, è solo la moglie, dipendente della ….. S.p.a. con un rapporto di lavoro interinale, a poter far fronte”.
Resiste alla domanda cautelare YY S.p.A..
Contesta la sussistenza dei presupposti richiesti, in via cumulativa, dall’art. 700 cpc per ottenere tutela in via anticipatoria urgente, sottolinea che il ricorrente riveste, peraltro, il ruolo di Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza sin dal 14.2.2018, rileva che essa resistente non ha fatto altro che dare attuazione, diligentemente, alle prescrizioni imposte dalla legge ed evidenzia la assurdità del comportamento di chi, per libera scelta, ben potendo far ricorso al tampone laddove non ritenga di vaccinarsi, si ponga in aperto contrasto con la legge, si faccia sospendere dal lavoro e dallo stipendio e poi lamenti problemi economici del nucleo familiare per effetto della sospensione della retribuzione.
Conclude per la reiezione del ricorso.
- 2.
Il d.l. 21.9.2021, n. 127, art. 3, convertito dalla legge 19.11.2021, n. 165 stabilisce, tra le altre cose, che dal 15 ottobre 2021 e fino al 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2, a chiunque svolge una attività lavorativa nel settore privato è fatto obbligo, ai fini dell’accesso ai luoghi in cui la predetta attività è svolta, di possedere e di esibire, su richiesta, la certificazione verde COVID-19 di cui all’articolo 9, comma 2.
Quindi, obbligo previsto dalla legge, quale condizione per lo svolgimento della prestazione lavorativa e conseguente percezione della retribuzione.
E’, poi, previsto l’obbligo per i datori di lavoro di verificare il rispetto delle prescrizioni e di definire, entro il 15 ottobre 2021, le modalità operative per l’organizzazione delle verifiche, con tutta una serie di prescrizioni.
I lavoratori che comunichino al datore di lavoro di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro, sono considerati assenti ingiustificati fino alla presentazione della predetta certificazione, senza conseguenze disciplinari, con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro e con sospensione della retribuzione.
La previsione, automatica, ex lege, di sospensione dalla prestazione lavorativa non è affatto, come vorrebbe il ricorrente, riconducibile ad un intento punitivo nei confronti di coloro che non intendono vaccinarsi, né sottoporsi al tampone, né si configura come una sorta di ricatto, così evocato dal ricorrente, ma, piuttosto è posta a tutela della salute e della sicurezza degli altri lavoratori (vaccinati o sottopostisi a tampone) nel luogo di lavoro.
Così si esprime la norma e il ricorrente, al di là di mere enunciazioni di carattere generale, assimilabili a petizioni di principio, non supportate dalla benché minima base scientifica, non ha dimostrato, né si è offerto di dimostrare, che, dal punto di vista scientifico la misura adottata in realtà non è utile allo scopo dichiarato.
L’altro aspetto, poi, è diretta conseguenza dell’imposizione ex lege della sospensione dal lavoro.
Il legislatore, infatti, non avrebbe potuto certamente addossare le conseguenze di una libera condotta del lavoratore di non vaccinarsi e neppure sottoporsi periodicamente a tampone, cui seguono conseguenze in termini di svolgimento della prestazione lavorativa, prevedendo a carico dell’impresa il costo della scelta, libera e incondizionata, obbligando il datore di lavoro ad erogare comunque la retribuzione, perché ciò sarebbe stato contrario, oltre che alla logica, ai principi in tema di sinallagma contrattuale e di corrispettività delle prestazioni.
Da ciò la naturale conseguenza in termini di sospensione della retribuzione, conseguenza, peraltro, emendabile attraverso l’ottemperanza all’obbligo di legge, se non in termini di sottoposizione a vaccino, quanto meno, di tampone periodico.
Ciò posto, in linea generale, e non ravvisandosi, per le ragioni anzidette, alcun profilo discriminatorio, considerato che situazioni diverse vengono, conformemente al dettato dell’art. 3 Cost., trattate in maniera differente, né ravvisandosi qualsivoglia violazione di principi della normativa UE in quanto, non è ricavabile nella norma denunziata alcun contrasto con il principio del consenso libero e informato a trattamenti sanitari, cui non possono essere certamente equiparate considerazioni di carattere meramente economico legate al costo del tampone, deve prioritariamente esaminarsi la sussistenza, secondo quanto prospettato dal ricorrente, del c.d. periculum in mora legittimante la tutela sommaria d’urgenza.
La tutela cautelare residuale atipica di cui all’art. 700 cpc può essere accordata in presenza di due requisiti che debbono, entrambi, coesistere: la verosimiglianza circa la sussistenza del diritto azionato; il fondato timore che durante il tempo necessario per far valere il diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente (quindi, concreto e attuale) e irreparabile (quindi, non ristorabile neppure per equivalente).
Si è dianzi testualmente trascritta l’allegazione del ricorrente in punto periculum in mora, e dalla semplice lettura se ne ricava la assoluta inconsistenza, meglio, la pretesa sussistenza sotto il profilo di dimensione meramente soggettiva, in quanto derivante in via esclusiva da un proprio, libero e cosciente, comportamento.
In particolare.
Si afferma che “la sospensione di fatto dal lavoro attuata nei confronti di XX , ha compromesso la sua dignità personale e professionale”.
E’ un pregiudizio, se tale può ritenersi, derivante da una libera scelta del ricorrente di porsi in contrapposizione con il dettato di legge, non sottoponendosi neppure a tampone periodico, per cui, laddove dovesse essere sussistente la lamentata compromissione, la stessa sarebbe comunque conseguenza immediata e diretta di detta libera scelta; senza contare che nulla di più viene allegato e, ancor meno, dimostrato circa la compromissione, le conseguenze della compromissione, l’irreparabilità della compromissione, l’immanenza della compromissione, la non risarcibilità, neppure per equivalente, della compromissione.
Si afferma, poi, che “con la riammissione in servizio, in considerazione anche del ruolo alimentare della retribuzione, XX potrebbe ricominciare a far fronte alle necessità economiche del nucleo familiare, di cui fanno parte anche due figli minori, alle quali, attualmente, è solo la moglie, dipendente della ……….. S.p.a. con un rapporto di lavoro interinale, a poter far fronte”.
Anche qui, mere affermazioni di principio, nessuna allegazione concreta e, ancor prima, nessuna offerta di prova circa la sussistenza del pregiudizio e, soprattutto, della sua irreparabilità nel tempo necessario alla tutela ordinaria.
Non vi è alcun riferimento (e prova) circa spese straordinarie o fisse non dilazionabili, rispetto alle quali risulti insufficiente il reddito della moglie, non è stato allegato, né provato, alcun disagio concreto ed effettivo patito dalla famiglia per effetto della sospensione dalla retribuzione; né viene indicato e provato alcun elemento concreto da cui ritenere che il lamentato (e non dimostrato) disagio non sarà eventualmente ristorabile per equivalente.
Non solo, ma anche sotto questo profilo, la semplice sottoposizione a tampone periodico porrebbe fine alla situazione di affermato, ma non dimostrato, disagio economico, sì che, ancora una volta, le solo affermate problematiche finanziarie si appalesano come conseguenza immediata e diretta di una scelta libera e volontaria.
Difettando in radice il presupposto del periculum in mora è superfluo dar corso a ulteriori e più approfondite valutazioni circa il fumus boni iuris.
Il ricorso deve essere rigettato.
- 3.
La soccombenza regola le spese, liquidate come da dispositivo con applicazione della media dello scaglione di valore indeterminabile (così indicato nel ricorso introduttivo) di bassa complessità, con esclusione della fase istruttoria.
- Q. M.
rigetta il ricorso;
condanna XX a rimborsare ad YY S.p.A. le spese processuali che liquida in € 3.500,00 per onorari di avvocato, oltre spese generali, CPA ed IVA.
Si comunichi.
Alessandria, 5 gennaio 2021.
Il GdL
Stefano Moltrasio